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IX Meeting

Cattolica

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Anche quest’anno si è conclusa la nostra esperienza con il Meeting di Cattolica e come sempre ben riuscito!

Sono veramente contento che i nostri iscritti si siano ritrovati e divertiti in sella alle nostre meravigliose 1400cc nelle terre della Romagna fra tante persone gentili ed ospitali.

Volevo innanzitutto ringraziare tutte le persone che hanno partecipato con tanto entusiasmo e un ringraziamento particolare a Mirco e Alessandra Galeazzi da parte mia e di tutto il Direttivo per aver reso possibile questa esperienza.

Il California 1400 club ringrazia di cuore:

Il Comune di Cattolica, la Sindaca Franca Foronchi e il Vice Sindaco Alessandro Belluzzi

Il Comune di San Giovanni In Marignano, il Sindaco Daniele Morelli, l’Assessore Nicola Gabellini e la Proloco

Villa Conventino di Gradara della famiglia Baldassarri e Morena Urbinelli

Piadina Experience di San Giovanni In Marignano, Elena, Michela, Roberto e tutto lo staff

L’Hotel Kursaal e l’Hotel Cristallo di Cattolica e il Sig. Palumbo

RTE Elettronica di San Giovanni In Marignano (RN)

Nuova Edilizia Due di Altidona (FM)

Cooperativa Sprint di Civate (LC)

 

Ringrazio inoltre il Consiglio del Club:

Luca Ciuti

Marco Dell’Orto

Cosimo Balestrieri

Piergiorgio Ferroni

Francesco Magrone

 

Un ringraziamento particolare per il supporto organizzativo a:

Giuliano Festi

Roberto Telloni

Valerio Bachetti

Claudio Garibbo

 

E ovviamente ringrazio Il Presidente del Moto Guzzi World Club: Mario Arosio

 

Spero di non essermi dimenticato nulla e vi aspetto numerosi per la nostra Reunion che si terrà indicativamente nel mese di novembre e durante la quale vi sarà comunicato il luogo dove si terrà il decimo meeting del nostro club. Per questa importante ricorrenza abbiamo pensato a qualcosa di speciale a cui stiamo già lavorando, sono sicuro che vi piacerà molto.

Vi ricordo di nuovo che i nostri eventi sono aperti anche agli ex possessori di California 1400.

 

Un caloroso abbraccio a tutti e vi lascio con le parole del nostro iscritto Roberto Mordacci.

 

Il Presidente Marco Leone 

Quel che si vede è una piazza: un piano circolare e assolato, senza case sui bordi, pavimentato a sampietrini. Al centro una fontana, di grandi proporzioni: quattro figure femminili, in panni semplici e aderenti, che reggono un grande bacile da cui l’acqua scivola sui loro corpi. La vasca circolare, testuggini ai quattro punti cardinali, con l’immancabile getto d’acqua. 

La quiete è solo apparente: intanto, non trionfa un calore estivo, bensì una brezza primaverile che rende incerta la temperatura, una sorta di avvisaglia di movimento. Lo sguardo che si discosta dagli zampilli d’acqua scorge, non ancora a fuoco, una folla sparpagliata di corpi stranamente abbigliati, chi con grossi stivali, chi con gilet ricolmi di insegne, chi con maglie su cui ricorre un simbolo: un’aquila su sfondo rosso. 

Fra le figure prende forma un’immagine più articolata, distribuita su tutto il cerchio della piazza. Non solo corpi, ma masse meccaniche, scintillanti, cromate e multicolori, disposte a raggiera. Gruppi di fari puntati verso il centro, ruote inclinate e teste di cilindro, scarichi lucenti, curve di serbatoi e grosse valigie rigide sui fianchi, bauli imponenti sul retro. Gira tutto intorno, senza interruzione: solo si alternano i bianchi, i neri, i rossi e qualche insieme indefinito di altri colori. Masse, non fuscelli: un ritorto di tubi e carene, pedane e radiatori, cerchi a raggi massicci, selle e borse di cuoio. Tutte rivolte alle grazie acquatiche: un tributo della potenza alla bellezza, senza retorica, solo la presenza imponente. 

Chi non riconosce il bicilindrico è un reietto. Novanta gradi, trasversale, sporgente ai lati del serbatoio. Nemmeno c’è il bisogno di nominarlo: la tensostruttura rossa d’aria e corde lo dichiara d’autorità, solida al vento non si sa come. Un unico cordame finisce su uno dei centauri, come se bastasse, solo, a tenerlo per intero. È il capobranco: un’incongrua sella di pelo folto, molti adesivi delle tappe attraversate, la polvere su tutte le superfici. Molta strada fatta, molta da fare. 

È di qui che, improvviso e tonante, parte un urlo, un suono sovrumano, chiaramente un segnale, il cui significato solo agli eletti è noto, ma che scuote la quiete della piazza come il colpo di un martello celeste. Al grido fa seguito un attimo di silenzio innaturale e poi un movimento generale, gli stivali che si animano, le giacche che puntano le ruote, caschi che appaiono dal nulla. 

Da qui in poi solo la musica: un rombo, cupo e gorgogliante, poi un altro, identico ma alternato, poi un altro ancora, poco più acuto, ma sempre indiscutibilmente tellurico, scuro, come provenisse da sotto il pavimento, mentre le Menadi scroscianti rabbrividiscono. Il rombo cresce, si moltiplica per tutta la circonferenza, risuona minaccioso eppure protettivo: il suo senso è l’allegria del vento che sta per arrivare sulle strade, non il terrore che annuncia la conquista. 

Da un varco, apertosi chissà come nella circonferenza perfetta delle cromature, prende il largo il primo centauro: rompe l’esile confine della piazza e si avvia sul viale, risucchiando dietro di sé il cerchio di quarantatré aquile, ordinate non meno che indomite, osservate ora con cipiglio ora sorridendo, distese in una fila che si snoda senza fine. 

E, quando un bicilindrico bianco, pastore meccanico dell’intera orda, chiude la fila, le Menadi sembrano inchinarsi, benedicenti e irrequiete sui loro immobili piedistalli: chi ha visto, chi c’era, giura che una di loro sia fuggita aggrappata alla schiena dell’ultimo centauro.

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